In occasione della pubblicazione dell’opera “1990-2020. Le théâtre italien en résistance” (Editions Théâtrales) a cura di Federica Martucci e Olivier Favier, i due curatori ci guidano nella storia della drammaturgia italiana attraverso alcuni video-ritratti di drammaturghe e drammaturghi contemporanei. Il secondo incontro che potete vedere a questo link è dedicato a Laura Sicignano che racconta il ruolo della resistenza delle donne nella sua scrittura, l’intreccio etica ed estetica e la genesi di testi come “Scintille” o “Vivo in una giungla. Dormo sulle spine”.
Su “Scintille” vi proponiamo questo testo:
New York, 1911: Incendio in una fabbrica tessile
Olivier Favier
Tradotto dal francese da Charlotte Ferraroli
24 aprile 2013. Un palazzo crolla a 30 km di Dacca (capitale del Bangladesh). Il Rana Plaza comprende cinque reparti di confezione. Le ricerche si fermano il 14 maggio e il bilancio della catastrofe sale a 1127 morti, più un centinaio di scomparsi. Tra i 2500 superstiti (all’ultimo momento, una ragazza viene estratta dalle macerie il 10 maggio), un migliaio soffre di ferite gravi, tra quali numerose amputazioni.
25 marzo 1911. La fabbrica tessile Triangle Shirtwaist Company di Manhattan viene divorata da un incendio. 146 persone muoiono nelle fiamme in soli 18 minuti, sono per la maggior parte giovane operaie. Negli Stati Uniti come in Italia, paese dal quale vengono parte delle impiegate, l’evento oggi viene spesso associato alle commemorazioni del Giorno internazionale della donna, l’8 marzo. Durante le cerimonie per il centenario dell’incendio, il Remember the Triangle Fire Coalition ha annunciato la creazione di un memoriale che avrà come scopo la valorizzazione del lavoro femminile.
Concepito il 14 luglio 2012 con il festival di Borgio Verezzi (Liguria), lo spettacolo Scintille, scritto e messo in scena da Laura Sicignano e interpretato da Laura Curino, ha deciso di raccontare questa storia, i cui recenti eventi testimoniano della tragica attualità.
Il testo è stato tradotto in francese da Juliette Gheerbrant, giornalista su RFI (reparto Asia).
(Storia dell’incendio della Triangle Waitshirt Company)
Siamo il sabato 25 marzo 1911, all’angolo nord-ovest dell’incrocio tra Washington Place e Green Street. Cento metri più in là ad ovest s’innalza la statua di Garibaldi dentro Washington Square Park, qualche chilometro a sud del molo di Ellis Island. La Triangle Shirtwaist Company è une delle 450 fabbriche tessili di Manhattan, tutte loro impiegano almeno 40 000 persone, una manodopera spesso straniera. Questa fabbrica produce waist shirts, delle camicie-bluse moderne e pratiche destinate alle lavoratrici, molto in voga all’inizio del Novecento. Sono le 16:40, e la fabbrica sta per chiudere per il giorno di riposo settimanale dei 600 operai. Uomini e donne lavorano 9 ore al giorno dal lunedì al venerdì, 7 ore il sabato, per una paga settimanale che sale dai 7 ai 12$ [nel 1914, la paga quotidiana di un operaio che lavora nelle fabbriche Ford viene aumentato a 5$, ovvero il doppio del salario medio negli Stati Uniti]. Ci lavorano ragazze giovanissime tra cui molte provenienti dall’Italia e dall’Europa centrale, e degli ebrei che fuggono i pogrom e le persecuzioni. Molti parlano in un inglese stentato, e il loro lavoro in questa fabbrica costituisce spesso un sostegno essenziale per le loro famiglie.
L’incendio parte dall’ottavo piano, secondo la tesi ufficiale da una cesta destinata ai resti di tessuti sotto ai banchi da taglio. Cinque minuti dopo, un passante dà l’allarme dopo aver visto il fumo uscire dalle finestre del palazzo. L’inchiesta si concluderà su una sigaretta o un fiammifero mal spento. Un articolo del New York Times allude alla possibilità di un’avaria dei macchinari destinati a far funzionare le macchine da cucire. O forse una scintilla di una lampada a gasolio di quelle che illuminano i reparti. Altri si stupiscono di questa epidemia d’incendi nelle fabbriche dello stesso tipo. Nessuno evoca l’incendio doloso.
In qualche minuto, l’incendio si estende alle camicie appese sopra alle macchine, ai resti di tessuto e alle bobine di filo. Le operaie del decimo piano vengono immediatamente avvisate per telefono; al nono piano invece, la notizia arriva assieme alle fiamme. Tra l’altro, alcune vie d’uscita sono state bloccate per evitare furti e pause non autorizzate, motivo per il quale le operaie fumavano di nascosto sul posto di lavoro, e esalavano il fumo sotto la blusa per non attirare l’attenzione.
129 donne e 16 uomini muoiono nell’incendio, alcuni asfissiati o bruciati vivi, altri gettandosi dal palazzo o negli ascensori, oppure nel crollo della scala di soccorso. Decine di corpi ricoprono il marciapiede attorno alla fabbrica.
I due proprietari sopravvivono all’incendio, sono tra i primi a fuggire dai tetti. Saranno immediatamente accusati per omicidio, poi assolti perché nessuno può certificare che fossero informati delle uscite bloccate. Tutt’al più sono costretti a pagare 75$ dollari per ogni querelante due anni dopo, non senza avere ottenuto un rimborso dalle assicurazioni cinque volte superiore alle indennità versate.
Questa catastrofe rimane la più letale tra gli incidenti in fabbrica di tutta la storia di New-York, la terza di ogni tipo, compreso l’11 settembre 2011. Sarà all’origine di una sessantina di nuove misure votate tra il 1911 e il 1913, sia sulla durata del lavoro delle donne e dei bambini che sulle regole di sicurezza o le norme sanitarie. Ha condotto alla creazione in ottobre 1911 dell’American Society of Safety Engineers, e nell’oltreoceano ha ispirato il cinema, la letteratura, il teatro e la musica. Ed è quasi sconosciuta dai francesi.